La stagione che stiamo vivendo, a partire dalla notte del 24 febbraio, notte in cui i carri armati della Russia guidata dal presidente autocrate Putin hanno invaso l’Ucraina, paese sovrano, libero e democratico, che ha chiesto l’adesione all’UE, rappresenta per noi, e in particolare per i giovani, un quotidiano bombardamento di resoconti dal fronte ucraino, con dibattiti e notizie in diretta, sui media e sui social, che hanno sostituito il tema principale dedicato da due anni alla pandemia.
Siamo chiamati a capire e a prendere in qualche modo posizione non solo circa le ragioni e le sorti dei protagonisti, aggressori e aggrediti, ma su tutto quello che ci sta capitando e che si annuncia nel nostro futuro, che ci costringe a rivedere il quadro dei nostri comportamenti e dell’agenda economica, ecologica, sociale e politica dell’Europa e del mondo. Il volontariato dell’accoglienza dei profughi che stanno arrivando in Europa, a cominciare dalla Polonia, sta già mobilitando molte istituzioni e molti cittadini. Le scuole si preparano ad accogliere nuovi bambini, in corso d’anno.
Sono diverse decine, a seconda dei criteri con cui sono censite, le guerre combattute oggi nel mondo, di cui i mass media danno discontinue informazioni e che papa Francesco ha definito, per richiamare l’attenzione di tutti, “guerra mondiale a pezzi”. Quest’ultima guerra però, che nella neolingua ammessa dal Cremlino si può chiamare solo “operazione speciale in Ucraina”, pena la carcerazione dei cittadini russi che osano parlare di guerra e di pace, ci costringe a fare, anche nella scuola, un corso accelerato di storia contemporanea e di educazione civica, per capire, se non “le cause” almeno il contesto in cui sono nate le premesse di questa sciagurata e inattesa vicenda dalla seconda guerra mondiale, finita ufficialmente l’8 maggio del 1945.
Coloro che nella scuola si occupano ancora di Eneide, ricorderanno che, per Virgilio, scelto da Dante come maestro e guida per risalire dalla “selva oscura” in cui si era smarrito, la vocazione dei Romani era quella di “governare i popoli con l’impero, imponendo alla pace una regola: risparmiare gli arresi e debellare i superbi”. (En, VI, 850-853). Il suo poema era stato scritto per celebrare le lunghe dolorose vicende da cui sarebbe nata la “pax romana” frutto della vittoria di di Ottaviano Augusto imperatore, dopo la vittoria di Azio (31 a.C.). Eppure Virgilio non dimenticò mai di ricordare di che lacrime fosse piena la storia di quell’impero, nei famosi versi: sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt (En.1,462 ).
Putin ha più volte citato il suo sogno imperiale, che risale all’antica Roma dei Cesari (da cui zar), il cui titolo era Per grazia di Dio imperatore e autocrate di tutte le Russie. E non dimentica che Mosca si avvalse del titolo di Terza Rom, dopo la nostra Roma e quella di Bisanzio. Speriamo che nel dialogo diplomatico da un lato e nel dialogo ecumenico dall’altro, fra i patriarchi ortodossi e Papa Francesco, si riesca a ricordare “di che lacrime grondi e di che sangue” ogni sogno imperiale; e che Gesù ha detto che il Suo regno non è di questo mondo e che il potere legittimo di Cesare sulla terra non poteva occupare lo spazio del giudice universale che è concesso solo a Dio.
Luciano Corradini