Nel giro di pochi anni, dopo l’euforia suscitata dallo stupefacente crollo del Muro di Berlino (1989), che indusse lo storico Francis Fukuyama a intitolare un suo libro La fine della storia , un altro storico americano, Samuel Huntington pubblicò nel 1996 un famoso saggio, intitolato “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, tradotto in italiano nel 2000 da S.Minucci, presso Garzanti.
Questo secondo fu discusso e criticato, perché sembrava liquidare la possibilità di una pur difficile convivenza culturale, religiosa, politica e d economica fra l’Occidente e il mondo islamico, soprattutto dopo la distruzione delle Torri Gemelle di New York , l’11 settembre 2011, e le guerra a trazione americana dell’Iraq e dell’Afghanistan. Non solo la civiltà islamica è presa in considerazione da Huntington come ostile a quella occidentale, ma anche quella russo-ortodossa, che dal 24 febbraio di quest’anno, per volontà di Putin, con la benedizione del patriarca Kirill, è entrata in un disastroso conflitto militare con quella euroatlantica e occidentale, lungo la faglia dell’Ucraina, che si è anche religiosamente staccata dalla matrice cristiano ortodossa della Russia, erede di Bisanzio.
Le due dimensioni, quella culturale e religiosa e quella politica ed economica, vanno tenute distinte, anche se purtroppo nella prassi spesso si confondono. Nelle ultime dichiarazioni di Putin lo scontro di civiltà sembra ridursi a una cruda questione di potenza politico economico militare, che si gioca in ultima analisi solo nello scontro, in cui si coinvolge strumentalmente gran parte dell’umanità, per decidere nuovi equilibri fra Russia e Stati Uniti. Come se la lunga elaborazione etico religiosa da un lato e la costruzione del diritto internazionale dei diritti umani dall’altro fossero nient’altro che carte vecchie da calpestare, come le persone, coi carri armati, in attesa, caso mai, di ricorrere alle atomiche.
Tornerò su questi temi. Per ora, mentre ci si prepara a “restare umani”, anche nelle dure decisioni e nei sacrifici che ci attendono, non lasciamoci rubare la più grande conquista della seconda metà del secolo scorso, ben riassunta in un appunto privato del 1968 di Réné Cassin, uno dei padri della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Nonostante le insufficienze della Dichiarazione e le sue scelte mancate, essa rappresenta il primo monumento di un ordine etico che l’umanità organizzata abbia mai adottato. La Dichiarazione è allo stesso tempo una vigorosa protesta contro tirannide, barbarie, oppressione; un atto di fiducia nel destino dell’umanità, in un destino migliore della condizione passata e presente; e finalmente un appello a tutti gli individui e a tutti i gruppi della società umana, con l’obiettivo di combattere per cambiamenti positivi. Se un giorno le Nazioni Unite dovessero scomparire, la Dichiarazione rimarrebbe come elemento del nostro patrimonio comune per tutti i popoli e tutte le generazioni”.
Luciano Corradini