La Costituzione nella scuola per celebrare un compleanno: una settantenne più giovane dei diciottenni?
Aldo Moro, che nel 1958 introdusse l’insegnamento dell’educazione civica nella scuola, dieci anni prima aveva presentato, con altri “padri costituenti”, un ordine del giorno, in cui si chiedeva «che la nuova Carta Costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano».
Fu votato all’unanimità l’11 dicembre 1947, con vivi generali applausi. I padri e le madri costituenti avevano capito che non si eredita una repubblica democratica come una villa al mare.
Don Milani citò questo odg nella “Lettera ai Giudici” (L’obbedienza non è più una virtù, LEF), del 18 ottobre 1965, per sostenere che, fra le conquiste morali e sociali citate dai padri costituenti, c’è anche l’art. 11, col suo ripudio della guerra. E da questa citazione prese lo spunto per rivedere tutta la storia patria, così come la si era vissuta e insegnata nella scuola; per ridisegnare i confini fra legalità e civismo da un lato, che riguardano l’obbedienza a leggi fatte, e moralità e politica dall’altro, che riguardano la libertà e le leggi da fare; e per cogliere la differenza fra il mestiere del giudice e quello del maestro, che «dev’essere per quanto può profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso».
La convinzione che le conquiste morali e sociali maturate durante la guerra di Liberazione costituissero «ormai sacro retaggio del popolo italiano» è stata messa a dura prova durante lo scorso Settantennio. Molti giovani, ma non solo, non ne sanno quasi nulla, e neppure riflettono nei loro occhi un futuro migliore, né sono interessati a confrontarlo con un passato di cui spesso non sanno cogliere gli errori e le conquiste, i tradimenti e le promesse. Sono per questo più esposti a confusioni, a pregiudizi, a mitizzazioni, a depressioni, a sfiducia, a indifferenza. Nel mondo adulto e nei discorsi delle istituzioni non colgono tanto le conquiste e le opportunità, che pure in qualche misura ci sono, quanto le sperequazioni sociali e generazionali, evasione, corruzione, inefficienza politica e burocratica.
Questa sommaria descrizione dei fenomeni di impoverimento, di chiusura entro confini, barriere e muri, e di ostilità bellicosa nei riguardi “degli altri”, non esaurisce fortunatamente le dinamiche in corso, che riguardano anche gli sforzi per una ricomposizione rigeneratrice dell’ecosistema (Agenda ONU 2030), per prevenire o correggere i guasti dovuti a persistente arretratezza, aggravata da una globalizzazione di rapina di vaste aree del mondo, e per aiutare, in termini di volontariato e di cittadinanza attiva, chi cade fuori dalle reti di protezione del Welfare.
Di qui la necessità, o meglio il dovere di assicurare alle nuove generazioni iniezioni di memoria, di aiutarle a problematizzare il presente, in riferimento a tavole di valori autorevoli e condivise, e ad attrezzarsi per dare un volto al futuro. C’è bisogno di ricuperare, senza pretese d’indottrinamento e di lettura della storia a senso unico, un passato comune, basato su avvenimenti, significati, giudizi anche discutibili, ma in ultima analisi illuminanti per tutti, perché passati attraverso ricerche, dibattiti, confronti.
Luciano Corradini