In Israele sono esplosi, in un crescendo gravissimo, per i danni e le conseguenze che avranno, scontri fra arabi sfrattati dalla zona Est di Gerusalemme e polizia israeliana, con escalation di atti di guerra fra i due popoli, che si ripetono ciclicamente dal 1949. Papa Francesco ha pregato all’Angelus del 16 maggio e sollecitato i responsabili a cessare la guerra in vista di una pace basata sulla giustizia.
Il Segretario Generale Gutierrez ha aperto il 16 maggio uno straordinario Consiglio di sicurezza dell’ONU, denunciando la gravità della situazione, la grande sproporzione di violenza e di vittime fra i contendenti e chiedendo un immediato cessate il fuoco. Netanyahu risponde che deve finire l’opera di distruzione delle postazioni militari nemiche.
Le diplomazie, tra cui quella USA di Jo Biden, stentano a schierarsi su questo punto “delicato”. Si limitano a riconoscere il diritto all’esistenza e all’autodifesa di Israele da attacchi estremistici di Hamas, che a loro volta per difendersi dai soprusi e dai colpi mortali di Israele attaccano a testa bassa, subendo ritorsioni rovinose per Gaza. In tal modo forze politiche e Governi di diversi Paesi danno l’impressione di pensare che queste guerre siano fenomeni come i geysers ricorrenti per ragioni geotermiche, di fronte ai quali non c’è nulla da fare.
Flavio Lotti coordinatore della Tavola della Pace e Marco Mascia del Centro Ateneo per i diritti umani dell’Università di Padova, hanno lanciato un appello che parte da questo imperativo: riconoscere ai palestinesi la stessa dignità, la stessa libertà e gli stessi diritti che riconosciamo agli israeliani. Utopia? Forse. Ma l’alternativa è solo la guerra?
Negli anni ’60 e ’70 i giovani di gran parte del mondo diedero vita a manifestazioni di contestazione contro gli USA, impegnati nella anomala Guerra del Vietnam, paese spaccato fra Nord e Sud. Ricordo l’amara riflessione di un poeta d’allora: “Chiedo al marine: perché uccidi il vietcong? Per la libertà, risponde il marine. Chiedo al vietcong: perché uccidi il marine? Per la libertà risponde il vietcong. Credevo che la libertà fosse vita”.
Prima di lui, re Salomone aveva indicato lo stesso criterio per stabilire di chi veramente fosse il figlio conteso fra due madri. Fu la vera madre a rinunciare alla pretesa di avere diritti sul figlio, per evitare che fosse squartato in due parti, perché ciascuna donna ne avesse la metà.
Ho conosciuto Bruno Hussar, fondatore nel 1972, di Nevè Shalom (Villaggio della pace) a Gerusalemme Ovest, dove asilo e scuola elementare e Scuola per la pace per studenti secondari e universitari sono gestite e frequentate da Arabi ed Ebrei. Circa 25.000 persone hanno vissuto e studiato insieme conoscendosi e rispettandosi. Chi non vuole l’orrore della morte deve accettare le fatiche della vita, nel nostro caso della vita fra popoli, religioni, culture diverse, superando gli odi e le paure, che le guerre continuano ad alimentare e a reiterare, non a spegnere. Chi non vuole la guerra deve pagare il costo della pace, che è una lotta non violenta incessante perché la vita, propria e degli altri, trionfi sulla morte.
Luciano Corradini