La democrazia, ha detto Winston Churchill con un’ ironica battuta di spirito, funziona quando a decidere sono in due, e uno è malato. In un’altra battuta ha però corretto il tiro, dicendo che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora.
Indubbiamente talora certe vicende della “politica” lasciano perplessi, amareggiati e sconcertati molti di coloro che cercano onestamente di capire e di impegnarsi in qualche modo perché la macchina democratica funzioni e produca risultati per il bene comune.
La giornata parlamentare dell’8 giugno è un concentrato di paradossi, di oggettive difficoltà politiche, giuridiche, tecniche, procedurali, elettroniche, che hanno bloccato un’intesa a quattro che pareva finalmente concorde su un testo di legge elettorale. La seduta si è conclusa fra incomprensioni, accuse incrociate fra Pd e 5 Stelle, tradimento di promesse, insulti, delegittimazione reciproca, abbandono del campo per sfiducia. Ragioni o pretesti non mancavano ai due contendenti. In un corso di sistemi politici comparati, di procedure parlamentari, di psicopolitica, di diplomazia e di linguistica, ci sarebbe molto da lavorare per “smontare la macchina”, alla ricerca delle cause dell’inceppamento. Il guaio è che queste cose la maggior parte dei cittadini elettori non ha alcun tempo, alcuna voglia e alcuna possibilità di capirle, aumentando in tal modo il discredito per la politica, la sfiducia, il cinismo, l’odio per gli avversari. Sia perciò consentito, in questa rubrica, concludere con un ironico sorriso, citando un episodio del primo canto dell’Orlando Furioso dell’Ariosto.
Il saracino Ferraù, innamorato di Angelica, sfida a duello il cristiano Rinaldo, suo rivale in amore. Mentre se le danno di santa ragione, Angelica sale su uno dei due cavalli e fugge nel bosco. Rinaldo capisce che la lotta è a questo punto inutile e convince il rivale ad accordarsi per rinviare la tenzone a quando avranno raggiunto Angelica. «Al pagan la proposta non dispiacque: così fu differita la tenzone; e tal tregua tra lor subito nacque, sì l’odio e l’ira va in oblivione, che l’pagano al partir da le fresche acque non lasciò a piedi il buon figliol d’Amone; con preghi invita, et al fin toglie in groppa, e per l’orme d’Angelica galoppa».
Commenta l’Ariosto, che certo non era un guerrafondaio: «Oh gran bontà dei cavalieri antiqui! Eran rivali, erano di fè diversi e si sentian degli aspri colpi iniqui per tutta la persona anco dolersi; e pur per selve oscure e calli obliqui insieme van senza sospetto aversi». Angelica che fugge rappresenta molto bene la fiducia nella democrazia che bisogna ricuperare, se non vogliamo che qualcuno pensi a sostituire l’«aula sorda e grigia» (o meglio litigiosa e vociante!), «con un bivacco di manipoli», come disse (e poi fece) il non ariostesco cavalier Mussolini.
A parte il sogno di Ludovico sulla cavalleria scomparsa, dobbiamo riconoscere che la madre di tutte le scelte condivise a cui dobbiamo fare riferimento è la Costituzione della Repubblica: dignità della persona, diritti e doveri, libertà, uguaglianza, solidarietà, partecipazione, ripudio della guerra, tutela della salute e del paesaggio non sono vaghe aspirazioni, ma le clausole del patto (o alto compromesso, non “inciucio”) di convivenza di una società che aveva sperimentato il totalitarismo e la guerra e che non voleva ripiombare in quell’esperienza.
Luciano Corradini