In una pagella di quinta classe elementare del 1945-46, che ho fortunosamente conservato fra le mie vecchie carte, si legge che Storia e Geografia costituivano una sola materia, accanto a una seconda materia detta “Educazione morale civile e fisica” e a una terza intitolata “Nozioni varie”.
In virtù dello Statuto Albertino, in vigore fino al 1947, eravamo tutti “regnicoli”, cioè abitatori del Regno d’Italia. Quando da piccolo mi sbucciavo un ginocchio, per incoraggiarmi a sopportare il bruciore del disinfettante, mi dicevano che ero un balilla e che sarei diventato un avanguardista, col fucilino per le sfilate dei “grandi”. Ci avevano spiegato che, al di qua delle Alpi, c’eravamo noi italiani bravi e forti, al di là c’erano i nemici cattivi, cioè “gli inglesi”, guidati dal ministro Ciurcillone, una sorta di Gambadilegno col sigaro.
E cantavamo “ai nemici in fronte il sasso, agli amici tutto il cuor”. La notte si poteva ormai dormire tranquilli, perché non c’era più, come negli ultimi anni della guerra, l’aereo ricognitore degli Alleati, detto “Pippo”, che mitragliava e spaventava la gente. Il mattino radioso del 25 aprile 1945, all’arrivo dei carri armati impolverati, con militari sorridenti che ci davano cioccolata e ci chiedevano rapanelli, cominciai a capire che il Duce non aveva sempre ragione.
In quinta, a Reggio Emilia, avevo un maestro tedesco, di nome e di accento, che dava colpi con la riga sulle gambe di chi sbagliava qualche risposta. A me, che una volta intervenni, pur non interrogato, perché avevo una risposta giusta, toccò uno schiaffo sul collo, che mi portai a casa, dove mia madre notò le impronte delle dita lasciate da quella didattica, che non mi dava un’idea chiara sugli esiti della Liberazione dal nazifascismo.
Comunque la guerra era finita e noi assistevamo a cortei e comizi con canti di esultanza e di protesta contro il Governo De Gasperi. Nel 1958, quando cominciai a insegnare alle medie, furono introdotti, da un dpr del ministro Aldo Moro, “Programmi per l’insegnamento dell’educazione civica negli istituti e scuole di istruzione secondaria e artistica”, che affidò al docente di storia due ore al mese di questo insegnamento sui generis, che poneva al centro la conoscenza lo studio e la della Costituzione, per aiutarci a diventare cittadini della Repubblica.
Nel 2008 la ministra Gelmini ha introdotto con legge 169 un insegnamento volto a promuovere “l’acquisizione, nel primo e nel secondo ciclo, delle conoscenze e delle competenze relative a ‘Cittadinanza e Costituzione’, nell’ambito delle aree storico geografica e storico sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse”. La scarsa “manutenzione” dedicata dal MIUR a questa legge, nobile quanto povera di risorse, ha indotto l’ANCI a sottoporre ai cittadini una proposta di legge che dia “adeguato posto” a questa materia, sotto il titolo “Insegnamento di educazione alla cittadinanza come disciplina autonoma con voto nei curricola scolastici di ogni ordine e grado”. L’appello lanciato congiuntamente dal Comune di Brescia e dall’Ufficio scolastico territoriale, lasciano sperare che la proposta, sostenuta anche dal Giornale di Brescia, sia rapidamente conosciuta e firmata da molti “cittadini praticanti”.
Luciano Corradini