Com’è noto, c’è un nesso stretto fra l’esperienza delle due guerre mondiali e la decisione di dar vita all’Europa.
Comincio con una citazione di Churchill, primo ministro del Regno Unito, eroe e testimone della guerra vittoriosa degli Alleati contro il nazismo. In una conferenza tenuta a Zurigo nel settembre 1946, quando l’Europa era semidistrutta e allo stremo delle sue forze, Churchill disse: “C’è un rimedio alla tragedia dell’Europa. Il rimedio è di ricreare la Famiglia Europea. Dobbiamo creare una sorta di Stati Uniti d’Europa”. La concezione di una famiglia unica di popoli europei, più larga degli stati sovrani che, ritenendosi depositari assoluti del diritto di guerra e di pace, si erano combattuti per secoli, ha rappresentato un notevole salto di qualità nella concezione della politica internazionale. Per questo Churchill parlò di “tempo breve”, per iniziare questo cammino, prima che si spegnessero la luce livida delle macerie della recente guerra e l’arcobaleno della pace conquistata. E concluse: “Se l’Europa può salvarsi dalla sua miseria infinita, anzi dalla rovina, è con un atto di fede nella Famiglia Europea e un atto di oblio per tutti i crimini e le follie del passato”.
Questa intuizione non va perduta: fede e oblio, e cioè speranza e perdono, piuttosto che rimozione o semplice dimenticanza degli orrori della guerra, sono gli atti interiori richiesti da uno statista che si era impegnato fino alla disperazione per battere la Germania in guerra. Concluse il duo discorso dicendo: “Il primo passo deve essere una partnership tra Francia e Germania. Solo così la Francia può riacquistare la guida morale e culturale dell’Europa”.
Quattro anni dopo il ministro degli esteri francese Robert Schumann, prese l’iniziativa col discorso/appello pronunciato il 9 maggio 1950 davanti a duecento giornalisti di tutto il mondo, nella Sala dell’Orologio del Ministero degli esteri. Oggetto dell’appello, concordato con Konrad Adenauer, cancelliere tedesco, e con Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio italiano, fu la proposta di “collocare l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto un’Alta Autorità comune, in una organizzazione aperta alla partecipazione degli altri paesi d’Europa”. Erano tutti e tre cattolici, parlavano tedesco, erano stati incarcerati e perseguitati dal nazismo. E’ importante ripensare alle loro biografie e alle visioni con cui hanno iniziato il processo, caratterizzato da contraddizioni ma anche di continui passi avanti, da cui ha preso vita, nello scorso settantennio, un’Europa che appare oggi “segno d’immensa invidia e di pietà profonda, d’inestinguibil odio e d’indomato amor”, per citare i versi dedicati dal Manzoni ai falliti tentativi di Napoleone di costruire l’unità europea sui campi di battaglia.
(Una ricognizione ragionata e commossa del primo cinquantennio di vita della Ceca, poi del MEC e dell’UE si trova nel libro di Tommaso Padoa Schioppa, Europa una pazienza attiva. Malinconia e riscatto del vecchio Continente (Rizzoli, 2006)).
Fu la stessa Francia, preda di una ricorrente nostalgia per una passata “grandeur”, a bocciare in Parlamento la CED, Comunità europea di difesa, nel 1954. Si disse che De Gasperi non resse al dolore per una così sciocca e ingiusta condanna di un’idea che, realizzata, avrebbe portato l’Europa, fin dal 1955, alle soglie dell’integrazione dell’unità politica, oltre che economica. De Gasperi morì per infarto nella sua Valsugana. Aveva detto, al termine di uno dei suoi ultimi discorsi:
“Per unire l’Europa è forse più necessario distruggere che costruire, disfare un mondo di pregiudizi, di pusillanimità e di alterigie, disfare un mondo di rancori. Che cosa ci volle per fare un’Italia, dove ogni città nei lunghi secoli di servaggio aveva appreso a detestare il vicino? Altrettanto si dovrà fare per l’Europa. Si parli, si scriva, si insista, non ci si dia tregua, che l’Europa resti all’ordine del giorno”. Faceva in tal modo eco ad Adenauer, altro padre fondatore dell’Europa, che aveva scritto: “in politica non è mai troppo tardi. È sempre tempo per un nuovo inizio”.
Luciano Corradini